Ghost of Tsushima (da ora in poi Got e non rompetemi dicendo che quello è l’acronimo di games of Throne!) è un gioco grandissimo, è un vasto openworld pieno di cose da fare e storie da raccontare.
Anche se le ore per completarlo (e forse platinarlo, ma non chiedetelo a me) non sono poi così tante, vi sembreranno una vita. Sia per la mole di cose spesso tutte ugali da fare, sia perchè l’avventura è un lungo viaggio nelle ‘campagne’ giapponesi del 1200 che potrebbe essere un viaggio fuori e dentro di noi lungo, appunto, una vita.
Cavolo i presuppsoti ci sono tutti… Potrebbe essere il gioco della vita o almeno dell’anno(ah maledetto The Last of Us 2!!).
E’ bello quando i presupposti ti fanno venire una grande voglia di giocare un titolo, ti fanno crescere l’hype come una gigantesca scimmia senza testa che si posizione sulla tua schiena sventolando la scolopendra gigante che la controlla.
Ambientazione Giappo antica, combattimenti tra samurai, open world. Un sistema di combattimento che spacca… Me lo compro subito!
Ma l’impalcatura del marketing è destinata a durare poco e quando dalla statua della venere cominci a togliere la plastilina (per chi ricorda cosa è) ti resta solo la forma di un gibbone anziano piena di gioielli, carino ma pur sempre un gibbone…
Costa sto dicendo? Non lo so, non lo so mai in effetti, ma forse un senso tutto questo ce l’avrà alla fine…
Ma veniamo a noi ed analiziamo i vari punti del gioco in una fredda lista di valutazioni contorte.
Prima cosa la logica dell’open world a me tanto cara.
Questa voltà è gestita piuttosto bene in quanto i tantissimi punti di interesse hanno quasi tutti uno scopo e non sono fini a se stessi come sempre accade. Ogni fonte termale trovata, ogni santuario inari individuato, ogni allenamento al bambù aiuta a migliorare le statistiche di gioco o a formire elementi effettivi di gameplay, mentre altri PoI forniscono elementi fashion aggiuntivi (che non fanno mai male).
Esplorare la mappa e scoprire tutto non é solo un elemento di completismo o di platino ma ha una effettiva utilità di gioco.
E questo ci piace e non poco!
Sparsi per il mondo ci sono poi circa duemila giapponesi catturati (quel vizietto dei mongoli di fare inutili prigionieri) che una volta liberati indicheranno punti di interesse quali quest o fortini mongoli da espugnare.
Le quest sono abbastanza semplici e monotone: dialogo con il poveraccio di turno, mongoli o briganti da uccidere (quando ci sono i mongoli e i briganti insieme è grande festa), eventuale pippone di Sakai al quest giver, fine della quest… Nulla di che ma ci stanno bene tutto sommato.
La narrazione invece risente della sindrome della open world: è frammentata e poco accattivante.
Le varie story-line sono divise in quest e sono dei corridoi narrativi distinti e separati. Ognuna ha un personaggio come protagonista con cui Sakai interagisce. Questi personaggi sono però caratterizzati male e senza troppa profondità. Hanno praticamente una sola caratteristica peculiare su cui si basano i vari dialoghi. Risultano quindi piatti e un po’ troppo stereotipati. Alcuni anche delle macchiette.
C’è da dire però che alla fine ci si affeziona a questi stramboidi che aiutano il Buon Sakai: dal maestro d’arco innamorato (palesemente) della sua allieva alla vecchia sanguinaria che vuole vendetta in maniera completamente randomica.
Unica piccola pecca è che le quest sono tante per ogni personaggio ma sono molto brevi… Forse sarebbe stato meglio farne qualcuna di meno ma nel complesso tutte un po’ più lunghe.
Menzione d’onore al cattivissimo Khotun Khan del gioco che fin dalla prima scena del gioco denota carisma e simpatia bruciando il messaggero dei giapponesi dopo averlo cosparso di vino.
Sakai poi, che è il fulcro di tutta la narrazione, non convince. Si prova ad approfondirlo ma alla fine rimane sempre lo stesso con frasi e discorsi banali e poco decisi.
Il centro della storia dovrebbe essere proprio la sua trasformazione da samurai onorevole e fedele al codice (on di ferro) ad assassino ninja senza pietà. Ma questo argomento è trattato con troppa superficialità, anche lui risulta quindi banale e scontato nei suoi modi di agire (oltre che spesso fastidioso per la sua spocchia nei confronti dei pezzenti).
La regia ci prova e Sucker Punch fa di tutto per rendere le vicende il più accattivante possibili. Purtroppo il realismo (o pseudo-realismo) su cui si basa l’opera fa sì che la trama non sia così avvincente come poteva essere. Questa però è una mera questione di gusto personale.
A me un Demone pazzo o un super cattivo con poteri ‘magici’ sarebbe piaciuto ma qui non c’è un’impostazione fantasy sull’impronta di Sekiro e quindi avrebbe stonato.
La grafica e gli ambienti sono insuperabili. I giochi di colore e di luce, i panorami delle campagne di Tsushima, l’uso dei colori stra saturati creano un’atmosfera mistica e incredibile. L’ambientazione è piacevole ed estremamente realistica e chi, come me, è fan del Giappone e della sua cultura, non può far altro che godere degli svariati riferimenti culturali e storici.
Girare per l’oper world non diventa più solo una meccanica di gioco ma è una vera esplorazione volta a scovare le meraviglie della natura che si nasconsono sull’enorme isola di Tsushima (grande 3 volte l’isola d’Elba…boh)
L’aspetto visivo è forse il vero punto di forza di GoT anche se, purtroppo, da solo non basta per definire un gioco di questo tipo.
Gli elementi fashion (o come volete chiamarli) fanno da padroni nel gioco. é incredibile quanti abiti, accessori e ammennicoli vari si possano trovare per rendere il Buon Sakai il più cattivo (o ridicolo) possibile.
Abiti, fascie per la testa, colori delle armi, spade, selle per il cavallo e soprattutto maschere sono praticamente ovunque (se non premi di raccolte di collezionabili) e rendono il personaggio il più caratterizzato possibile secondo le voglie del giocatore.
Il sistema di combattimento è il vero fulcro del gioco. É semplice e divertente ed è ciò che fa venire voglia di continuare a giocare.
Attacco debole ma veloce che non supera la difesa dell’avversario e attacco forte ma lento che rompe la difesa (postura) del nemico.
Rotta la postura il nemico barcollante potrà essere colpito a ripetizione.
I nemici si classificano in base all’arma che utilizzano. Per ogni tipo Sakai potrà usare una forma della spada (leggi stile di combattimento) specifico e modificabile velocemente con una combinazione di pulsanti. Solo con l’apposita forma si potrà spezzare la guardia dell’avversario. Il combattimento è quindi molto dinamico e richiede velocità nei cambi di forma in base a quale nemico ti attacca.
Un sistema bello, piacevole e divertente.
Peccato però che sia letteralmente rotto dall’inserimento dei parry.
Capisco che nell’immaginario collettivo se si pensa ad un gioco sul giappone ‘medievale’ si pensa a Sekiro, ma questo non significa che bisogna per forza rifarsi a lui se si sta su quell’ambientazione.
In perfetto stile Sekiro a GoT ci si può difendere dagli attacchi con L1 e premendolo al momento giusto si effettuerà un parry perfetto. Questo spezza la guardia dell’avversario lasciandolo barcollante. Il risultato è che una volta imparate le tempistiche diventa irrilevante quale forma stai usando, con un parry riesci a sconfiggere ogni nemico.
Ci sono alcuni attacchi non parabili (pochi alcuni dei quali diventano parabili con le apposite abilità) ma non sufficienti a rendere il sistema bilanciato. Aggiungiamo poi una serie di attacchi ninja che sono completamente OP e permettono di salvarsi nelle situazioni più complesse con troppi nemici (kunai che colpiscono 4 nemici, bombetta esplosive, fumogeni che consentono attacchi stealth etc).
La parte di combattimento a distanza è semplice e pulita e presenta un arco veloce ma debole (che non danneggia i nemici con elmi e armature) e uno forte ma lento che però danneggerà pressoché chiunque. Molto piacevole da utilizzare senza quella eccessiva varietà di archi che alla fine non usa mai nessuno.
Lo stealth non l’ho capito molto bene. È come se non fosse previsto fare una sessione solamente stealth. Inoltre senza l’apposita armatura è pressoché impossibile.
Chiudere un avamposto mongolo o una quest senza mai farsi vedere è molto complesso: un po’ frustrante ma piacevole visto che aumenta il livello di sfida
Un fortuna dato che la difficoltà del gioco è piuttosto bassa: anche a livello difficile son poche le situazioni ingestibili.
In definitiva Ghost of tsushima è inevitabilmente il miglior Open World a cui abbia mai giocato.
Basandosi sull’espereinza di tutti i suoi predecessori, prende ispirazione e unisce i vari elementi in modo armonioso. Questo è anche il suo peggior difetto: utilizza troppe cose senza specializzarsi in nessuna.
Il risultato è che ogni aspetto è bello ma mediocre, nulla spicca per la sua originalità o caratterizzazione tecnica (a parte come già detto il comparto grafico/visuale ma che da solo non basta).
Sekiro si specializzava nel combattimento (lasciando alcuni buchi alla Lore), Assassin’s Creed si specializzava nello stealth (con alti e bassi), Tenchu nell’ambientazione classica giapponese.
Ghosto of Tsushima invece è un mescolone di troppe cose, tutte fatte bene ma pur sempre troppe.
“Tutti sono speciali, che sarebbe come dire che non lo è nessuno” (cit).
GoT è quindi un gioco da giocare e completare che sa dare grandi soddisfazioni e tiene incollati allo schermo per un gran bel numero di ore ma che purtroppo non riesce ad eccellere e a diventare una pietra miliare del suo genere.